Onorevoli Colleghi! - Come era facilmente intuibile, anche quest'anno non sono mancate le proteste da parte dei candidati che si sono presentati nelle aule degli atenei italiani per sostenere i test di ingresso alle facoltà a numero chiuso. Le polemiche degli aspiranti studenti universitari hanno avuto come oggetto sia la tipologia delle domande, considerate non idonee a valutare la preparazione di chi vuole iscriversi a una facoltà a numero chiuso sia l'organizzazione dei test stessi.
      Oggi in Italia le facoltà a numero chiuso comprendono un terzo dei corsi di laurea. Ci sono corsi per i quali è obbligatoriamente previsto il numero chiuso: medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e scienze della formazione, oltre ai corsi per le professioni sanitarie; ad essi si aggiungono altri corsi di laurea che prevedono uno sbarramento su decisione delle singole università per garantire standard qualitativi ai propri iscritti.
      Al di là della qualità dei test proposti e della efficienza della loro organizzazione, forse è opportuno fare alcune osservazioni sull'opportunità della loro obbligatorietà. Il sistema è sicuramente trasparente; ma può il verdetto negativo di un quiz negare le legittime aspirazioni di chi vuole sperimentare le proprie capacità in un determinato campo scientifico? Non sarebbe forse meglio, allora, legare la permanenza nell'università al superamento di un numero prefissato di esami nel primo anno? Allora il verdetto sarebbe legato alla produttività dello studente e non all'alea di un quiz neanche tanto intelligente. Se poi si lega il sistema del numero chiuso alla salvaguardia degli standard qualitativi degli iscritti, verrebbe da chiedersi per quali motivi tale meccanismo non sia stato

 

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esteso a tutte le facoltà e si dovrebbe anche spiegare con quali criteri viene stabilito il numero massimo di studenti compatibili con le strutture esistenti.
      A sostegno della tesi della salvaguardia degli standard qualitativi si tirano in ballo alcune direttive comunitarie che invitano gli Stati membri dell'Unione europea a predisporre, per alcuni corsi universitari aventi particolari caratteristiche, misure adeguate a garantire gli standard formativi minimi e le previste qualità, teoriche e pratiche, dell'apprendimento. La limitazione degli accessi ad alcune facoltà universitarie è quindi commisurata alla mancanza di strutture atte a garantire i citati standard, senza considerare che impedire l'accesso ad un determinato corso di laurea rappresenta la violazione di un diritto allo studio che dovrebbe essere riconosciuto indiscriminatamente a tutti gli studenti. Prima, perciò, di introdurre dei limiti nel numero degli ingressi alle facoltà universitarie è necessario potenziare le strutture che sono luogo di formazione professionale, dando così la possibilità a tutti di accedere e attuando una selezione esclusivamente in base a criteri meritocratici.
      Per questi motivi, con la presente proposta di legge si propone di abrogare l'articolo 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341, modificato dall'articolo 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127, eliminando così il potere ministeriale di limitare gli accessi ad alcune facoltà universitarie. Si propone, inoltre, l'abrogazione della legge 2 agosto 1999, n. 264, varata con l'intento di determinare una cornice di rango primario che desse certezza e stabilità alla disciplina della materia, tenendo conto del rilevante contenzioso amministrativo scaturito e in virtù delle considerazioni svolte nella sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 27 novembre 1998.
      Si propone, infine, la regolarizzazione definitiva delle iscrizioni e delle immatricolazioni con riserva relative agli anni accademici 2005-2006 e 2006-2007.
 

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